L’escluso – meno 3

Da quando Margherita se n’è andata faccio sempre una deviazione durante il mio calvario notturno. Arrivato alla Divina Provvidenza, invece di proseguire per via Gramsci, verso Anzio, lascio il mare e svolto a destra. Costeggio quello che un tempo era l’ospedale Fatebenefratelli e mi arrampico verso Colle Paradiso. Raggiungo il parco che sta di fronte casa di Margherita, mi siedo sulla panchina dove lei mi ha raccontato la sua storia, fumo una sigaretta e torno indietro.
Questa sera, mentre mi trovavo lì, seduto su quella storica panchina e la sigaretta stava per finire, mi sono sentito chiamare per nome.
– Fausto.
Mi sono voltato in direzione della voce, alla mia destra, e ho visto lei, in piedi accanto a me, Margherita.
– Posso sedermi? – mi ha domandato.
– Certo, – le ho risposto, facendole posto sulla panchina.
– Che ci fai qui? – ha chiesto squadrandomi dalla testa ai piedi, con curiosità.
– Da quando sei partita vengo qui tutte le sere. Fumo una sigaretta su questa panchina e poi riprendo la mia passeggiata. Ma… sei reale? – ho domandato osservandola con sospetto. Era vestita come la prima sera che avevamo parlato e come mi appariva tutti i giorni ormai.
– Come? – ha chiesto stupita, abbozzando un sorriso incredulo.
– Domanda strana la mia, lo so, ma da quando sei partita ti vedo sempre, sei sempre con me anche se ci separano centinaia di chilometri. Ho provato in tutti i modi a cancellarti dalla mia testa, ho fatto di tutto ma non è servito a niente. Allora ho capito che per cancellare te dovrei cancellare me e ancora non sono pronto per questo passo, per quanto, a volte, lo desideri più di ogni altra cosa e con tutto me stesso.
– Fausto, ti senti bene?
A quella domanda ho capito di avere accanto la Margherita vera, in carne e ossa e ho sentito il mio cuore accelerare il battito e straripare d’entusiasmo e di vergogna.
– Allora sei davvero tu… Sto abbastanza bene, è solo che non dormo da un po’ di mesi e l’insonnia può giocare questi brutti scherzi. Che poi non sono così brutti se ad apparirmi è una creatura splendida come te. Come stai? Come va a Milano? Perché sei tornata a Nettuno?
Margherita mi guardava e nel suo sguardo c’era apprensione. Apprensione e disagio. Le mie parole sconclusionate dovevano averla messa a disagio. Doveva considerarmi un pazzo. Mi guardava e non rispondeva.
– Forse è meglio che vada. Non voglio turbarti con la mia triste presenza e con i miei discorsi deliranti, – ho tentato di trarla d’impaccio, alzandomi di scatto.
– Sto bene, Fausto. A Milano mi trovo bene, è una bella città, viva, il lavoro mi piace, i colleghi sono simpatici e mi hanno messo subito a mio agio. Ho trovato una bella palestra, un nuovo team di pugilato e mi alleno tutti i giorni dopo il lavoro. Stiamo già programmando un incontro. Sono scesa per la Pasqua, ripartirò tra qualche giorno.
– Sono felice che tu stia bene, è la sola cosa che conta per me.
– Siediti, Fausto, parliamo un po’, se ti va.
A quell’invito mi sono seduto di nuovo accanto a lei. Il battito del mio cuore si era ristabilizzato e le emozioni mitigate.
– Cosa hai fatto in questo mese? – mi ha domandato accendendosi una sigaretta.
– Quello che faccio ormai da molti, troppi mesi: leggere e camminare, nient’altro, – ho risposto preparandomi anch’io una sigaretta.
– Leggere, camminare e pensare a me, – ha aggiunto Margherita sorridendo bonaria, senz’ombra di malizia.
– Già.
– Anch’io ho pensato spesso a te in questo mese.
– È già passato un mese da quando sei a Milano? – ho chiesto fingendo di non dare troppa importanza a quella confessione ch’era per me un’overdose di felicità.
– Sì.
– Caspita… Vedi, Margherita, quando i giorni sgocciolano via tutti uguali, senza che ci sia differenza neppure tra il giorno e la notte, si perde la cognizione del tempo, e tu lo sai bene. Anzi, il tempo non esiste più. E neppure i giorni esistono più. C’è un giorno solo, che non finisce mai, lunghissimo, infinito.
– Deve essere difficile vivere senza sonno. Fortunatamente questo problema non l’ho mai avuto.
– Vivere? Piuttosto sopravvivere. Ma neppure sopravvivere, pensandoci bene. Trascinarsi per inerzia. È difficile soprattutto all’inizio, quando l’insonnia ti prende alla sprovvista e tu non sai dove sbattere la testa, poi in fondo ci si abitua. O meglio, ci si rassegna. Per me il sonno ormai è come se non esistesse. Non ci faccio più caso e non ci penso più. È così che funziona, e con tutte le cose. Quando una cosa non ce l’hai, alla fine la ignori come se non esistesse e non ne senti più la mancanza o il bisogno.
– Sì, ma il fisico?
– Il fisico si adegua alla testa e tu ne sai qualcosa. Certo, se avessi avuto un lavoro sarebbe stata dura senza sonno. Ma sono convinto che se avessi avuto un lavoro avrei avuto anche il sonno. L’insonnia credo sia la conseguenza naturale di questo mio stato d’inerzia, di sospensione, d’immobilismo, d’abbandono.
Strano. Avevo accanto Margherita, Margherita quella vera, in carne e ossa, eppure non la desideravo. Non desideravo afferrare la sua mano e stringerla nella mia. Non desideravo abbracciare il suo corpo e baciare le sue labbra. Era come se quel nostro incontro e quella nostra conversazione fossero forzati. Come il capitolo di un romanzo che l’autore inserisce per dovere di cronaca, perché obbligato, ma non sente davvero suo. Del resto a me è sempre capitato questo: se di una donna vorrei fare la mia donna, la mia compagna, passare del tempo con lei ma avendo la consapevolezza o anche solo il sospetto di non poter fare di lei la mia donna, la mia compagna, allora… Cavolo, mi sono incartato. Meglio lasciar perdere. Ormai inizio a lasciare andare i miei pensieri senza seguirli. Li osservo svanire oltre l’orizzonte come gabbiani. Verrà il giorno in cui la smetterò di pensare e finalmente sarò sereno. Finalmente sarò innocuo a me stesso e agli altri.
Nessuno di noi due parlava. Fumavamo e guardavamo il vuoto davanti a noi senza dire niente. Come poteva finire così? Come poteva naufragare in questo modo l’idea di felicità incarnata da Margherita? Con una parola ma anche solo con un gesto, con uno sguardo, con un sorriso, con un sospiro lei avrebbe potuto stravolgere tutto, avrebbe potuto mettere in discussione tutto e invece se ne stava ferma e zitta, respirando appena. Ogni tanto le lanciavo un’occhiata di soppiatto mentre quel silenzio iniziava a pesarmi e non era imbarazzo ma delusione. Non era lei a deludere me, ma io a deludere me stesso. Quante volte in quell’ultimo mese mi ero detto che se avessi avuto la possibilità di parlare ancora con Margherita avrei lottato con tutte le mie forze per convincerla quantomeno a provare ad amarmi. Ora lei era davvero accanto a me, in carne e ossa, e io non sapevo lottare. Non sapevo dire ciò che avrei voluto dire. Ciò che avevo ripetuto centinaia e centinaia di volte a me stesso e alla visione di Margherita in quell’ultimo mese. Centinaia e centinaia come i chilometri che mi separavano dalla vera Margherita e che ora sembravano materializzarsi tra di noi sebbene fossimo distanti solo pochi centimetri.
Volevo parlare ma non sapevo parlare, non ci riuscivo perché, lo ripeto, quella situazione mi sembrava forzata e il suo silenzio non mi aiutava. Possibile che non avesse proprio niente da dirmi? Possibile? Dopo parecchi minuti, frustrato ormai da quel silenzio e pronto ad andare via, gliel’ho domandato.
– Margherita, possibile che tu non abbia proprio niente da dirmi? Possibile? – le ho chiesto voltandomi verso di lei e provando a scuoterla con lo sguardo oltre che con le parole.
– Scusami, Fausto, ma questa sera non sono di grande compagnia. Devi trovarti meglio con la Margherita immaginaria.
– Almeno a lei riesco sempre a dire ciò che vorrei dire, – le ho confessato con un sorriso.
– Cosa vorresti dire? – mi ha domandato Margherita con una certa preoccupazione.
– Sei sicura di volerlo sapere?
– Sì, – ha risposto sospirando e abbassando lo sguardo.
– Vorrei farti sapere cosa sei tu per me, cosa rappresenti.
Allora Margherita ha rialzato lo sguardo, lo ha posato su di me e nei suoi occhi cerulei ho visto brillare la speranza. Speranza che mi ha autorizzato a confessare tutto, a parlarle come mai fino a quel momento avevo parlato a una donna, denudandomi.
Ma avevo bisogno del contatto in quel momento delicato perché decisivo. Così le ho afferrato le mani, che teneva abbandonate sul grembo, e lei non le ha ritratte. Stringendole nelle mie, ho iniziato ad accarezzare quelle mani consumate da tanti pugni, e ho vuotato il sacco.
Era giunto il momento di fare i conti con la realtà, di aprirmi alla realtà e subirne le conseguenze, qualunque fossero. Non volevo più avere rimpianti nella mia vita. Chissà quante donne mi sono sfuggite perché non ho parlato loro con chiarezza, perché non ho avuto il coraggio di denudarmi ai loro occhi e ai loro cuori. Forse una, forse tutte.
Mi sono schiarito la voce e ho iniziato il mio monologo. Lo avevo già recitato centinaia di volte alla mia Margherita immaginaria in quell’ultimo mese, quindi non ho dovuto faticare molto. Le parole mi uscivano fuori con facilità, senza che dovessi pensarci troppo su.
– Margherita, innanzitutto voglio che tu sappia che ciò che sto per dirti non l’ho mai detto a nessuna donna prima d’ora. Perché nessuna donna, prima di te, mi ha ispirato simili pensieri. Forse non ci crederai, ma è così. Per convincerti della sincerità delle mie parole, specifico che ciò che sto per dirti non nasconde secondi fini, né è alimentato dall’illusione di poterti conquistare. Perché so che questo è impossibile, che tu hai bisogno di un altro uomo, un uomo che ti dia delle certezze, delle sicurezze, e non di un povero trentenne disperato, senza sonno, senza lavoro, che ormai non vive e neppure sopravvive più, ma si trascina avanti per inerzia, solo perché non ha il coraggio di farla finita, di legarsi un cappio al collo e lasciarsi andare nel vuoto. Margherita, tu sei tutto ciò che mi manca e di cui avrei bisogno. Sei un mondo parallelo, un mondo alternativo, migliore del mio. Sei energia pura, sei movimento, lotta, resistenza e, soprattutto, resilienza. Margherita, in una sola, semplice parola, tu sei la vita. Quando sono in tua compagnia non mi sento solo, non penso alla morte e, incredibile ma vero, non la desidero. Quando sono con te, al contrario, desidero vivere. Tu rappresenti per me un nuovo inizio, la prospettiva di una nuova esistenza, pacifica e serena. Tu sei la luce e il calore, la cura a ogni dolore. Tu sei il senso in un mondo che non ha più senso. Tu sei la mia conversione e la mia resurrezione. Io per te distruggerei quella fortezza di idee e di parole nella quale mi sono asserragliato rinnegando il mondo. Io per te tornerei al mondo, una seconda volta, e con te al fianco il mondo non mi farebbe più paura. Con te al fianco tornerei ad avere dei sogni, dei desideri, delle speranze, delle aspettative e delle illusioni. Metterei te al centro della mia nuova vita e prendendomi cura di te mi prenderei cura di me stesso. Margherita, tu per me sei amore, amore eterno, che trascende spazio e tempo, che non si esaurisce con la morte ma si perpetua all’infinito. Io darei tutto per te e per questo amore, farei di tutto, metterei in gioco la mia stessa vita, per quel poco che vale. Ora è tutto nero attorno a me, anche quando risplende il sole dominano le tenebre, perché anche il sole ho dipinto di nero. Il sole nero non sparge luce ma tenebre. Tu riporteresti il bianco, tutto tornerebbe a ridipingersi di bianco attorno a me, poi tornerebbero a trionfare i colori, caldi e sgargianti. Io grazie a te ritroverei quella fiducia nell’uomo che ho perduto da tempo. Tornerei ad avere fiducia in me stesso. Grazie a te tornerei a credere in qualcosa, crederei in noi e nel miracolo della vita, nella procreazione e nella conservazione. Margherita, grazie a te crederei nella possibilità di un futuro migliore. Io sono la disperazione e tu la speranza. Io sono l’odio e tu l’amore. Io sono la morte e tu la vita. Io sono la distruzione e tu la creazione. Io sono il nulla e tu il tutto. Tu potresti salvarmi, Margherita. Tu sola potresti farlo, se lo volessi.
Margherita mi ha ascoltato con lo sguardo basso, fisso sulle nostre mani intrecciate, non più quattro ma due. Termino di parlare e lei mi guarda, rivolge a me i suoi occhi cerulei. Sono umidi. Capisco che sono riuscito a toccare le sue corde più profonde e nascoste ma che non sono riuscito a farle vibrare. Perché i suoi occhi cerulei sono umidi, sì, ma il pianto non significa niente se lei poi sfila le sue mani dalle mie e si allontana da me, alzandosi dalla panchina.
– Fausto, grazie delle belle parole. Solo un’altra persona nella mia vita me ne ha dette di così belle. Ma questo è quello che sono per te, non quello che sono veramente. Tu hai parlato della tua Margherita immaginaria e non di quella che ti sta davanti, in carne e ossa. Tu hai creato un sogno, un sogno splendido, ma la realtà non è mai all’altezza del sogno, purtroppo per noi. Io non sono ciò che tu credi che io sia. Io sono debolezze, insicurezze, fallimenti, Fausto. Sono molto più simile a te di quanto tu non creda, fidati. Io commetto tanti di quegli errori… Cado tante di quelle volte e persino nella stessa giornata… E non sarò mai al sicuro dalle mie paure, dalle mie insicurezze, che porto sempre con me. Io non voglio farti soffrire, voglio solo farti capire come stanno davvero le cose. Tu mi hai idealizzata, Fausto. Nella tua solitudine hai creato una donna che non esiste, che non è mai esistita e non esisterà mai. Io non ho niente di diverso, niente di speciale rispetto alle altre donne che hai incontrato nella tua vita. E tu devi trovare in te stesso la forza di rialzarti e andare avanti. Devi stare bene innanzitutto con te stesso per stare bene con gli altri. Lo dico per il tuo bene, perché sei una bella persona, al contrario di quanto tu creda. Vedrai che questo periodo passerà, tutto si sistemerà, ma se tu vuoi davvero che questo periodo passi e che tutti si sistemi. Anche tu un giorno, se lo vorrai, sarai felice. E lo vorrai, perché ogni uomo lo vuole.
Le parole di Margherita mi hanno incenerito. Mi ero giocato il tutto per tutto e avevo perso. Perché nel mio stupido e inutile monologo, quando le avevo detto di non volerla conquistare, avevo mentito e anche lei lo sapeva. Non era che captatio benevolentiae la mia, una tentazione alla quale non so rinunciare quando ho a che fare con le donne. Un mio grande limite.
Mi sono giocato il tutto per tutto e ho perso. Dopo la risposta di Margherita mi sono sentito spezzato ed esausto. Ho dovuto faticare non poco per staccarmi dalla panchina e rimettermi in piedi. Non avevo più nessun motivo ormai per restare lì, in sua compagnia. Era finito tutto. Già mi sentivo morire e sprofondare nel nulla, come se mi fossi squarciato le vene e aspettassi che il sangue sgorgasse del tutto.
– Perdonami, Margherita. Devo essere stato davvero ridicolo, – le ho detto dopo essermi finalmente alzato.
– Ecco qual è il tuo problema: sei troppo duro con te stesso. Non sei stato ridicolo, sei stato semplicemente umano, – mi ha risposto con un sorriso benevolo, da madonna.
– Umano e ridicolo sono sinonimi. Scusami ancora, ma nel niente ci si aggrappa a tutto. In te evidentemente ho visto quello che volevo vedere e non quello che c’era.
Soddisfatto delle mie ultime parole, pronunciate con le braccia spalancate e sorridendo, con l’atteggiamento di chi ha commesso un grossolano ma comico errore, ho voltato le spalle a Margherita e me ne sono andato, da dove ero venuto.
Lei non mi ha richiamato, non mi ha chiesto di tornare indietro, e non mi ha inseguito. Come nessuna donna nella mia vita, del resto.

L'escluso , ,

Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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